Col tempo pieno s´impara ad ascoltare i
bambini
Mirco Pieralisi, un insegnante della scuola primaria spiega i
motivi della battaglia per la difesa dell´orario lungo per tutti
quelli che lo chiedono
E´ possibile spiegare il tempo pieno? E´ possibile parlare di
un´esperienza che, quando ci si batte per difenderla, sembra
fatta solo di misure (ore, organici), e che invece, come tutte
le cose che contano, non può essere contata? Si può raccontare,
questo sì, ma servirebbero i nomi, i luoghi, le immagini vive di
bambine e bambini che abbiamo avuto la possibilità di conoscere
meglio anche grazie al tempo che abbiamo avuto per conoscerci.
Ci siamo conosciuti meglio preparando una mostra per la pace in
una scuola di campagna, sporcandoci di colla e colori, noi e
loro. Ci siamo conosciuti meglio in quelle ore solitarie in cui
cercavamo semplicemente di leggere meglio. E scoprivamo, noi
insegnanti, quanta vita e che vita c´era dietro l´ «oggettività»
di certi magri risultati nei lavori scolastici. Ci siamo
conosciuti meglio anche nella spesso caotica sala mensa o mentre
aspettavamo un autobus per andare a teatro o in un´aula
didattica dei musei bolognesi. Ascoltando le bambine e i bambini
in quei momenti captavamo parole «in libertà»: «a me piacerebbe
avere un papà come quelli dei film che portano il figlio a
pesca»; «io la storia la odio però ieri mi è dispiaciuto che
Napoleone ha perso». Per conoscere abbiamo bisogno di ascoltare,
non di interrogare.
Ci siamo conosciuti meglio anche perché avevamo il tempo per
raccontare, leggere, inventare le storie; perché abbiamo potuto
usare i computer in dieci per volta anziché in venticinque,
perché ogni tanto abbiamo fermato tutto perché potessimo parlare
insieme di che cosa vuol dire crescere insieme.
Negli ultimi anni, difendendo con le unghie e con i denti il
nostro tempo, abbiamo cercato di trasformare l´arrivo dei
migranti in un´occasione di crescita. Loro crescono e noi
cresciamo con loro, ridiamo, gridiamo, giochiamo, a volte
piangiamo (di nascosto da loro ma con loro). E i risultati?
Tanti, per lo più non misurabili, non certo da una pagella.
Quando si trasmette o si tramanda cultura e non nozioni,
conoscenza e non solo competenza, i risultati si vedono a
distanza, ma qualche soddisfazione a breve termine l´abbiamo
avuta (come qualche amara sconfitta).
Abbiamo visto la meraviglia negli occhi di una bambina che
scopriva. a otto anni che leggere è possibile; abbiamo visto il
bambino «difficile» protetto dai suoi compagni perché non fosse
sgridato da noi; abbiamo visto con quanto orgoglio bambine e
bambine di quattro continenti diversi rappresentassero in
pubblico uno spettacolo preparato per mesi.
Per questa e per tante altre ragioni molte e molti di noi non
mollano nella difesa del tempo pieno. Noi del tempo pieno
difendiamo un privilegio, come è stato detto? In un certo senso
sì: difendiamo la possibilità di avere una relazione educativa
intensa, fondata sui tempi distesi e rispettosi della persona,
difendiamo il privilegio di vivere la crescita e l´apprendimento
come momento più lungo d´incontro tra adulti e infanzia dove
apprendiamo sul serio insieme. E stiamo lottando affinchè questo
«privilegio» sia garantito a tutte e tutti coloro che
sceglieranno questa strada.
10/03/07
Repubblica / Bologna |