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"Maestra, ma
potranno cadere anche le Due Torri?" Mercoledì prossimo le scuole
Longhena dedicheranno la giornata in classe per parlare della
tragedia di New York i bambini e la guerra
La guerra in prima elementare
ILARIA VENTURI
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SONO arrivati
in classe e hanno alzato la mano: «Maestra, ma potranno cadere anche
le Due Torri?». Classe quinta delle elementari Marsili. Una bimba
egiziana cambia il punto di vista: «I terroristi, che sono
criminali, hanno fatto questa cosa perché l'America non ha aiutato
gli egiziani». Altra scuola, elementare Longhena, altra mano alzata:
«Maestro, la guerra arriverà anche qui?», «ma l'aereo può cadere
anche sulla mia casa?». «Nooo, da noi non può succedere perchè
abbiamo i palazzi più bassi», risponde sicuro il compagno di banco.
Parlano i bambini, gli insegnanti ascoltano. In tutte le classi la
guerra è entrata dal primo giorno di scuola, i baby alunni sono
arrivati con le immagini della tv negli occhi. Scene di guerra, vere
o fantastiche, il confine tra il mondo dei Pokemon e dei cartoni
giapponesi e gli aerei che si schiantano sulle torri di New York e
il Pentagono è difficile da definire e da capire. «Fermiamoci e
parliamo» suggerisce il maestro Fabio Campo delle Longhena. Lo ha
fatto con i colleghi docenti della scuola di via Casaglia alla prima
riunione, il giorno dopo l'attacco agli Usa. «Eravamo tutti
sconvolti, costernati, abbiamo pensato che i bimbi sarebbero
arrivati in classe dopo aver visto immagini tremende, sono in grado
di fare la differenza tra la realtà e un cartone, non si sbagliano,
ma...». E così è nata la proposta: una giornata, mercoledì prossimo,
interamente dedicata alla riflessione sulla pace, la solidarietà e
la giustizia. Una sorta di assemblea di istituto (con maestra
filtro), come hanno fatto gli studenti delle superiori in tante
scuole. Una giornata per disegnare, parlare, dipingere, sfogarsi,
leggere i pensieri degli alunni, i loro diari. I docenti hanno già
scritto ai genitori per comunicare l'iniziativa, unica alle
elementari di Bologna. «I tragici avvenimenti e la quotidianità
degli orrori perpetrati nel mondo contro innocenti (fra i quali
migliaia di bambini) scrivono gli insegnanti della «scuola nel
verde» , le ingiustizie, le guerre di etnia, di religione, di
dominio politico o economico, tutti questi crimini compiuti contro
l'umanità ci obbligano a riflettere sulla possibilità di un mondo
migliore». Le elementari Longhena dunque si fermano per un giorno, i
maestri abbandonano i programmi di rito per parlare di pace e
solidarietà. Tutti insieme, dalla mattina alla campanella del
pomeriggio. «Non è una giornata imposta, nasce dal basso dice Fabio
Campo vogliamo affrontare con i bambini ciò che è accaduto, ma non
solo, vogliamo parlare di tutte le ingiustizie, dell'infanzia
violata nel mondo, delle violenze che vedono. Il lavoro sulla pace
con i bambini è complesso, parte dal rapporto tra compagni: per loro
la reazione nei litigi è normale». Divisi per gruppi di classi gli
alunni delle Longhena diranno il loro no alla guerra con lenzuola
dipinte, da appendere alle finestre, con disegni e pensieri che
saranno fatti navigare anche nel sito Internet. Una idea che si
inserisce nel lavoro sull'ecologia dei comportamenti che vede come
tema trasversale il rispetto degli altri. Progetti diffusi nelle
scuole. Alle elementari dell'Istituto comprensivo 11 i docenti hanno
deciso di dialogare con gli alunni «per aiutarli a non cadere in
facili generalizzazioni e stereotipi contro il mondo arabo», alle
Marsili, il dialogo non è mancato. «Abbiamo aspettato che venisse
fuori da loro e non abbiamo atteso molto dice la mastra Francesca
Bariletti alcuni erano molto preoccupati, un po' spaventati. Ma
c'erano anche i maschi che ridevano, confondendo la realtà con le
immagini dei cartoni». La prossima settimana nelle scuole Marsili,
Villa Torchi e Croce Coperta che hanno nel piano formativo il
progetto sulla educazione alla legalità saranno raccolti i disegni e
i pensieri dei bambini sulla guerra. Alle medie MarconiGalilei di
Casalecchio il collegio dei docenti ha approvato la partecipazione
della scuola (per le famiglie che vorranno) alla marcia per la pace
PerugiaAssisi. |
Patrizio,
"turista per caso", ha la figlia che va scuola a Casaglia ed è stato
eletto nel consiglio di circolo l'intervista
Roversi: "Aiuteranno Zoe a tirare fuori le sue
paure" |
In
viaggio verso Bologna, per stare vicino a Zoe che non è certo una
bambina abbandonata ma «in certi momenti c'è ancor più bisogno di
stare vicini». Patrizio e Siusi, per la televisione e per il teatro.
Maurizia Giusti e Patrizio Roversi, nella vita reale. Artisti con
figlia che fa la seconda elementare sulle colline, alle mitiche
Longhena.
«Mi piace molto che a scuola si parli per un giorno intero di
terrorismo e di guerra». Patrizio Roversi vorrebbe essere come Tahar
Ben Jelloun, che ha scritto il dialogo con la figlia che chiede: «Perché
sono musulmana?». «E' un dialogo che mi è piaciuto, che mi ha
colpito. Anche i bambini debbo avere gli strumenti per capire. La
nostra Zoe ha recentemente vissuto un lutto, e ha fatto un sacco di
domande. Non vorrei essere banale, ma faccio un esempio: vado dal
dentista, in questi giorni, e voglio sapere tutto quello che fa. Se
lui mi spiega come e perché fa certe cose, io affronto la situazione.
Se non mi spiega, io mi terrorizzo. Ecco, bisogna spiegare anche ai
bambini. Non si può fare credere loro che tutto vada bene, che tutto
sia un giochino. E se la scuola dà una mano a noi genitori, fa bene
il suo mestiere. Dentro una vicenda come quella dell'America ci sono
la geografia, la storia, la religione, la giustizia e l'ingiustizia.
Mi consola molto il fatto che la scuola mi aiuti a dare spiegazioni
alla bambina. Ed è un titolo di merito, per le maestre, questa loro
intrusione nella realtà».
Corre l'auto verso Bologna, per arrivare quando la sera è ancora
giovane e la bambina è alzata. «Quando gli aerei hanno spezzato le
torri di New York - dice Siusi Blady - io non ero con Zoe. Era dai
nonni, che guardano spesso la televisione. Oddio, ho pensato, chissà
cos'ha visto, chissà com'è traumatizzata, con queste immagini così
crude e senza il nostro filtro. Appena l'ho vista, sono stata io ad
affrontare l'argomento. E lei mi ha raccontato che una bomba, no un
aereo aveva fatto cadere un grattacielo, e lei aveva capito e non
aveva capito. Ma certe parole le sono rimaste in testa. Parole come
guerra, morte, tragedia. E senz'altro ha collegato queste parole con i
racconti che i nonni le fanno sulla guerra vissuta da loro e avrà
pensato: ci sarà la guerra e si starà male come quando i nonni erano
giovani. E' facile fare due più due».
Un giorno a parlare di cose brutte, tutti assieme a scuola. «La cosa
più importante è che la bambina possa parlare di tutto questo
assieme ai suoi compagni, e alla presenza di un adulto. A volte noi
genitori siamo in difficoltà a spiegare i fatti della vita, come la
nascita, il sesso, la morte... Non è che la scuola possa spiegare ai
bimbi di seconda elementare ciò che anche noi adulti facciamo fatica
a comprendere. La cosa importante è che i piccoli abbiano l'occasione
di tirare fuori le loro paure, per scoprire magari che sono le stesse
dei loro amici».
Patrizio Roversi si attende anche un'altra cosa. «Spero che
l'incontro a scuola sia un'azione pedagogica contro l'ipocrisia. Le
maestre debbono aiutare i bambini, fare capire loro che non bisogna
accontentarsi del pensiero più semplice, ma bisogna analizzare e
capire. Certo, non è un compito facile, in seconda elementare. Ma per
me è già importante che ci siano scuole e insegnanti che riescono ad
aprire le porte della didattica alla realtà».
(j.m.) |
22 settembre 2001
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la
lezione
Alle elementari Longhena oggi i
piccoli disegnano e ricordano i morti di New York |
Parole,
disegni, pensieri sulla tragedia di New York. I 'piccoli' delle
elementari Longhena dedicheranno tutta la giornata di oggi a
questo. Riuniti in assemblea, come i loro fratelli maggiori
hanno fatto un po' in tutte le superiori bolognesi, passeranno
la giornata a confrontare le loro opinioni sui fatti americani.
Ad avere l'idea alcuni insegnanti della 'scuola nel verde'. «Siamo
tutti obbligati a riflettere sulla possibilità di un mondo
migliore scrivono nella 'convocazione' dell'assemblea vogliamo
affrontare con i bambini ciò che è accaduto, ma non solo,
vogliamo parlare di tutte le ingiustizie e le violenze che sono
costretti a vedere». Divisi per gruppi gli alunni diranno i
loro no alla guerra con lenzuola dipinte con disegni e pensieri,
da 'appendere' nelle finestre della scuola e nell'home page del
suo sito web. |
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26 settembre 2001
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Elementari Longhena, una giornata di scuola dedicata alla guerra
"Sogno i kamikaze in classe"
MICHELE SMARGIASSI
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FEDERICA ha sognato che la terza guerra mondiale scoppiava proprio qui, nella sua classe: «Arrivavano i kamikaze e bruciava tutto come a New York». Quando hai nove o dieci anni i sogni fanno ancora paura, anche da svegli: «E se succede davvero? Cosa facciamo, ci buttiamo giù dalle finestre? Meno male che qui è più basso...». Un adulto non riesce proprio a immaginarsi le scuole elementari Longhena come le Twin Towers: c'è pace su questa collina così vicina e così lontana dalla civiltà urbana, c'è silenzio tra i boschi e prati lungo via di Casaglia, c'è tranquillità in questo pomeriggio di sole; ma non nel cuore dei bambini. Sono passate due settimane ma le immagini viste in tv lavorano ancora dentro. I disegni appesi alla parete della Quarta B sono tutti uguali: aereo, torri e fiamme, poi fiamme, torri, aereo. Ma disegnare l'incubo serve a buttarlo fuori dal cuore, appenderlo al muro serve a prendere le distanze. Parlare serve a esorcizzare. Così ieri tutti i maestri hanno sospeso le lezioni e hanno dedicato tutta la giornata alla guerra. Cioè alla pace: ma è dalla guerra che bisogna partire, dalla guerra che hanno visto negli occhi dei genitori, prima ancora che ai telegiornali. «Mia mamma stava per mettersi a piangere», «Alla Festa dell'Unità tutti ne parlavano e allora mi è venuta paura», «Mia sorella piangeva e non riusciva a dormire». «Vorrei cambiare canale come con la tivù».
Inutile consolarsi pensando: per loro la televisione è irreale, una favola. Giada sulle Torri Gemelle c'è stata: «era bellissimo da lassù, quando le ho viste cadere mi sono messa a piangere». Federica aveva «un cugino lì in vacanza a un chilometro, ha visto tutto». Bambini precocemente globalizzati dalle agenzie turistiche prima che dalla tivù. Consapevoli di avere un posto nel mondo. Spaventati al pensiero che quel posto non è sicuro.
«Bisogna fare un passo avanti, altrimenti parleranno solo di quelle immagini», spiega il maestro Fabio guidando il cronista nei corridoi. Nelle classi tutti scrivono, disegnano, e si fanno domande. Olimpia: «Secondo voi perché l'hanno fatto?». Francesco è presidente, perché ha la matita con la gomma, dà la parola a turno: «L'hanno fatto per la loro religione, se muoiono per la patria vanno in paradiso con 75 vergini», Alessandro ammicca per far credere di sapere cosa significa. «Tanto poi in paradiso non ci vanno». «L'hanno fatto per i soldi», Eugenio la sa lunga, «Bin Laden gioca in Borsa». Echi di discussioni in famiglia, i bambini ascoltano e macinano tutto, purché abbia l'aria di una spiegazione per l'inspiegabile.
«Si vendicano perché gli americani hanno fatto delle cose brutte a loro»: quella di Rossana è già una spiegazione politica, ma è Ilia, seconda elementare, ad avere le idee più precise, terribilmente precise: «Questa nazione importante», ha fatto scrivere nel tazebao di classe, «un tempo buttava veleni nei nostri campi e rubava le case, così è giusto che siano morti un po' di loro così imparano la lezione». Ha scatenato un putiferio di risposte: «Reagire è giusto, ma è brutto se muore la gente», «Non è bello ridere quando muore tanta gente». Alla fine si decide tutti d'accordo di mettere questo titolo al manifesto: «La violenza non risolve nulla». E di iniziarne un altro: «Il cartellone delle idee furbe». La maestra apre il bando, si accettano proposte. È proprio necessario fare la guerra? «Nell'Afan... Afnan...», inciampa Edoardo, «laggiù ci sono dei bambini, se bombardano muoiono». Giovanni scuote la testa: «Agli americani non conviene fare la guerra, spendono troppi soldi, diventano assassini e muoiono anche loro». Allora? Ettore: «I terroristi potrebbero scusarsi». Lo farebbero? Basterebbe? «Potrebbero rimediare». Cioè? «Cioè gli americani ricostruiscono quello che hanno distrutto e i terroristi rimediano ai danni che hanno fatto». Come quando si fa la pace dopo aver litigato per un giocattolo. Ma Giulia ha dei dubbi: «Fra bambini va bene far la pace, ma i grandi non ci riescono, fanno pace ma poi litigano ancora».
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27 settembre
2001
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