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Stasera mentre uscivo dal lavoro…

… via Ugo Bassi era stipata di autobus fermi, mi sono chiesta: cosa sarà successo? Mi avvicino con lo scooter all’incrocio tra Indipendenza, Ugo Bassi e Rizzoli e lo vedo: un sit in di studenti universitari, ordinato, silenzioso, pacato. E tutt’intorno, la gente, tranquilla, che non protestava, e i vigili urbani che guardavano senza intervenire.
Bellissimo.

E noi? Quando facciamo la lezione  in piazza? Si riesce ad organizzare?

Lina Sini

Pericle cercasi

Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Pericle – Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.

fumetto da: http://bruzcomics.blogspot.com/

Le maestre imitate ovunque

Viaggio nelle scuole elementari emiliane che l’Ocse indica come le migliori in assoluto

Tra le maestre imitate ovunque “Berlusconi ha fatto male i conti”

di CURZIO MALTESE

BOLOGNA – A New York sono sorte negli ultimi dieci anni scuole materne ed elementari che copiano quelle emiliane perfino negli arredi. Via i banchi, le classi prendono l’aria delle fattorie reggiane che ispirarono Loris Malaguzzi, con i bambini impegnati a impastare dolci sui tavolacci di legno, le foglie appese alle finestre per imparare a conoscere i nomi delle piante.
Si chiama “Reggio approach”, un metodo studiato in tutto il mondo, dall’Emilia al West, con associazioni dal Canada all’Australia alla Svezia.

Se la scuola elementare italiana è, dati Ocse, la prima d’Europa, l’emiliana è la prima del mondo, celebrata in centinaia di grandi reportage, non soltanto la famosa copertina di Newsweek del ’91 o quello del New York Times un anno fa, e poi documentari, saggi, tesi di laurea, premi internazionali. Non stupisce che proprio dalle aule del “modello emiliano”, quelle doc fra Reggio e Bologna, sia nata la rivolta della scuola italiana. La storia dell’Emilia rossa c’entra poco.

A Bologna di rosso sono rimaste le mura, tira forte vento di destra e sul voto di primavera incombono i litigi a sinistra e l’ombra del ritorno di Guazzaloca. “C’entra un calcolo sbagliato della destra, che poi fu lo stesso errore dell’articolo 18”, mi spiega Sergio Cofferati, ancora per poco sindaco. “Il non capire che quando la gente conosce una materia, perché la vive sulla propria pelle tutti i giorni, allora non bastano le televisioni, le favole, gli slogan, il rovesciamento della realtà. Le madri, i padri, sanno come lavorano le maestre. E se gli racconti che sono lazzarone, mangiapane a tradimento, si sentono presi in giro e finisce che s’incazzano”.

Che maestre e maestri emiliani siano in gamba non lo testimonia soltanto un malloppo alto così di classifiche d’eccellenza, o la decennale ripresa della natalità a Bologna, unica fra le grandi città italiane e nonostante le mamme bolognesi siano le più occupate d’Italia. Ma anche il modo straordinario in cui sono riusciti in poche settimane a organizzare un movimento di protesta di massa.

Stasera in Piazza Maggiore, alla fiaccolata per bloccare l’approvazione dei decreti sulla scuola, sono attese decine di migliaia di persone. “È il frutto di un lavoro preparato con centinaia di assemblee e cominciato già a metà settembre, da soli, senza l’appoggio di partiti o sindacati che non si erano neppure accorti della gravità del decreto”, dice Giovanni Cocchi, maestro.

Il 15 ottobre Bologna e provincia si sono illuminate per la notte bianca di protesta che ha coinvolto 15 mila persone, dai 37 genitori della frazione montana di Tolè, ai tremila di Casalecchio, ai quindicimila per le strade di Bologna. Genitori, insegnanti, bambini hanno invaso la notte bolognese, ormai desertificata dalle paure, con bande musicali, artisti di strada, clown, maghi, fiaccole, biscotti fatti a scuola e lenzuoli da fantasmini, il logo inventato dai bimbi per l’occasione. Ci sarebbe voluto un grande regista dell’infanzia, un Truffaut, un Cantet o Nicholas Philibert, per raccontarne la meraviglia e l’emozione. C’erano invece i giornalisti gendarmi di Rai e Mediaset, a gufare per l’incidente che non è arrivato.

Perché stavolta la caccia al capro espiatorio non ha funzionato? Me lo spiega la giovane madre di tre bambini, Valeria de Vincenzi: “Non hanno calcolato che quando un provvedimento tocca i tuoi figli, uno i decreti li legge con attenzione. Io ormai lo so a memoria. C’è scritto maestro “unico” e non “prevalente”. C’è scritto “24 ore”, che significa fine del tempo pieno. Non c’è nulla invece a proposito di grembiulini e bullismo”.

Il fatto sarà anche che le famiglie vogliono bene ai maestri, li stimano. Fossero stati altri dipendenti statali, non si sarebbe mosso quasi nessuno. Marzia Mascagni, un’altra maestra dei comitati: “La scuola elementare è migliore della società che c’è intorno e le famiglie lo sanno. Con o senza grembiule, i bambini si sentono uguali, senza differenze di colore, nazionalità, ceto sociale. La scuola elementare è oggi uno dei luoghi dove si mantengono vivi valori di tolleranza che altrove sono minacciati di estinzione, travolti dalla paura del diverso”.

Come darle torto? Ci volevano i maestri elementari per far vergognare gli italiani davanti all’ennesimo provvedimento razzista, l’apartheid delle classi differenziate per i figli d’immigrati. Rifiutato da tutti, nei sondaggi, anche da chi era sfavorevole alla schedatura dei bimbi rom. “Certo che il problema esiste”, mi dicono alla scuola “Mario Longhena”, un vanto cittadino, dove è nato il tempo pieno “ma bastava non tagliare i maestri aggiuntivi d’italiano”.

E se domani il decreto passa comunque, nel nome del decisionismo a tutti i costi? “Noi andiamo avanti lo stesso”, risponde il maestro Mirko Pieralisi. “Andiamo avanti perché indietro non si può. Non vogliono le famiglie, più ancora di noi maestri. Ma a chi la vogliono raccontare che le elementari di una volta erano migliori? Era la scuola criticata da Don Milani, quella che perdeva per strada il quaranta per cento dei bambini, quella dell’Italia analfabeta, recuperata in tv dal “Non è mai troppo tardi” del maestro Manzi”.

Ve lo ricordate il maestro Alberto Manzi? Un grande maestro, una grande persona. Negli anni Sessanta fu calcolato che un milione e mezzo d’italiani sia riuscito a prendere la licenza elementare grazie al suo programma. Poi tornò a fare il maestro, allora con la tv non si facevano i soldi. Nell’81 fu sospeso dal ministero per essersi rifiutato di ritornare al voto. Aveva sostituito i voti con un timbro: “Fa quel che può, quel che non può non fa”. È morto dieci anni fa. Altrimenti, sarebbe stasera a Piazza Maggiore.

La Repubblica (28 ottobre 2008)

Ecco cosa accadrà al tempo pieno

di Giuseppe Caliceti
da APPUNTI DI SCUOLA (Il Manifesto del 21 ottobre 2008)

Il ministro Gelmini ha detto che non toccherà nella scuola il tempo pieno – 40 ore di scuola per gli alunni, al mattino e al pomeriggio, cinque giorni a settimana col sabato a casa coi genitori – senza però rinunciare all’insegnante unico. Come? Il decreto afferma semplicemente che anche nel tempo pieno ci saranno, invece dei due insegnanti attuali, un solo insegnante. Come è possibile? Cerco di spiegarlo, almeno intuitivamente.
Un insegnante di tempo pieno attualmente lavora per 24 ore di cui due per la programmazione didattica settimanale – non in classe coi bambini – e due in compresenza, cioè insieme al collega, generalmente per dividere la classe in gruppi di livello e aiutare con un po’ di recupero in italiano e in matematica chi ha più difficoltà. Immaginiamo che le due ore di programmazione saltino, visto che c’è l’insegnante unico non occorre più che si confronti con nessun collega. Da 24 ore a 40 mancano ancora 18 ore. Tutto il tempo mensa e interscuola settimanale (quello per far giocare i bambini), dieci ore, viene fatto saltare e appaltato ai comuni: per la Gelmini non occorrono più docenti per far mangiare correttamente e con progetti alimentari specifici i bambini, ma alcune bidelle o inservienti pagate dai singoli Comuni; stesso discorso per l’interscuola, il tempo gioco previsto in otto ore: non si educa giocando, anche qui basta qualcuno pagato da un Comune che tenga a bada i bambini. E se i Comuni non hanno soldi? Ci pensino comunque loro a chiedere più soldi ai genitori al posto dello Stato; come già chiedono le rette per la mensa dei bambini, le chiedano anche per la loro sorveglianza durante e dopo il pasto. Restano ancora otto ore. Ma se ne devono togliere tre per l’insegnamento di inglese da parte di un insegnante esterno. Ora ne restano cinque. A questo punto il decreto Gelmini propone che gli insegnanti allunghino il loro orario di insegnamento – tutto bucherellato e già pieno di orari spezzati (che significa stare a scuola otto ore al giorno per insegnarne e essere pagati solo per sei, cinque o, spesso, quattro ore quotidiane.
Queste cinque ore in più richieste ai docenti unici del tempo pieno, si intuisce dal decreto che saranno pagate coi fondi di istituto al costo di circa 60/70 euro complessivi netti e con circa un anno di ritardo, questo almeno è ciò che accade oggi per le ore di lavoro che un insegnante fa in più rispetto al suo orario. Se i docenti non accetteranno un orario di lavoro mattino e pomeriggio pieno di buchi, con un orario di lavoro assurdo, risulterà che sono loro e non il governo in carica e la Gelmini a far saltare il tempo pieno. Perché? Immagino già le parole della Gelmini e di Brunetta: perché sono dei fannulloni. Allora risulterà ancora più chiaro come tutta la campagna mediatica portata avanti sui lavoratori statali fannulloni e sugli insegnanti del sud scansafatiche non era fatta a caso, ma aveva un preciso obiettivo: colpire gli studenti, i loro genitori, il lavoro dei docenti.

A proposito di “Una notte per la scuola”

Pubblichiamo una selezione delle vostre impressioni:

Grazie a tutti voi che avete partecipato all’assemblea e alla notte di ieri! E’ stata un’esperienza molto bella e sicuramente superiore alle aspettative del giorno prima. Si respirava un clima di collaborazione, di aiuto reciproco, di voglia di stare insieme e di confrontarsi. Le mie bimbe hanno detto: ” per i bimbi era una festa e intanto i grandi parlavano”. Grazie a chi ha tenuto i laboratori, a chi ha parlato in assemblea, a chi ha suonato e fatto le caldarroste!!! Anche la luna piena rendeva tutto piu’ bello! Continuiamo cosi’, con questo spirito nel cuore!
Federica, mamma di Giulia, 3C

Sono stravolta! dalla stanchezza di 4 ore di assemblea? dalle ossa rotte per la notte trascorsa su un materassino? nooo! dall’entusiasmo e coinvolgimento e partecipazione e parlare fitto fitto e idee/proposte per il futuro!!!
da questo sono felicemente e sorprendemente stravolta.
In fondo, noi genitori di Longhena, ci aspettavamo una partecipazione di tanti di noi, ma cosi tanti, tanti, forse no! Le adesioni via quadernino della comunicazioni sono state circa 250, ma eravamo il doppio. Bella condivisione di un momento importante, gravoso, ma vissuto con entusiasmo e determinazione-
Anna Maria – mamma 4B scuola Longhena

Grande serata partecipata e condivisa da tutte e tutti, bimbe e bimbi, genitori, insegnati e splendide dade e dadi.
La consapevolezza del valore della scuola pubblica come unico luogo dove attraverso la conoscenza è possibile percorrere strade di libertà, contro tutti i razzismi e le discriminazioni.
Siamo stati veramente bravi, non fermiamoci partecipiamo venerdì 17 al presidio indetto dagli studenti del Liceo Minghetti dalle ore 15 alle 17
LA SCUOLA PUBBLICA OCCUPA LA CITTA’
Antonello Martelli, genitore 5A

E’ bello abitare a Bologna.
Soprattutto di questi tempi.
E’ bello lavorare a Longhena, soprattutto ora.
E’ confortante vedere le persone, i genitori pronti a sollevarsi se si paventano rischi per la qualità della scuola, le conquiste civili.
Ci dà coraggio, non ci fa sentire soli.
Quella di ieri è stata la scuola che vogliamo, la scuola che fa stare insieme, che include tutti.
Non perdiamo questo spirito di interesse e partecipazione per ciò che è pubblico, per ciò che è di tutti.
Grazie a tutti quelli che hanno reso la giornata di ieri importante, bella, significativa, insomma grazie  a tutti soprattutto per lo spirito positivo che ha animato l’iniziativa.
Cristiana (4° A)