Lettera aperta al Ministro Gelmini – di Rosalba Satta

Budoni 10 settembre 2008

Gentilissima Ministro Gelmini,

sono un’insegnante elementare, in pensione da tre anni.

Ho lasciato la scuola, dopo oltre 35 anni di insegnamento, con l’entusiasmo del primo giorno, nonostante uno stipendio davvero mortificante. Ho scelto di andar via col sorriso al momento giusto, consapevole del fatto che la “nuova” scuola dell’allora ministro Moratti poteva imbrigliare il mio entusiasmo e – peggio ancora!- rendere faticoso il risveglio. La scuola che il ministro Moratti aveva in mente – quella delle tre “I” per intenderci – era – e rimarrà – un assurdo pedagogico, lontana anni luce dalla scuola della partecipazione, dell’incontro, del confronto, della creatività. Della crescita vera. Comunicai le mie perplessità al ministro con una lettera aperta che, come prevedevo, non ebbe risposta.

Oggi la lettera aperta l’indirizzo a Lei che, a prima vista, pare davvero una maestrina al suo primo incarico. Giovane, carina, sorridente, con un futuro tutto da costruire. A ben guardare, però, “vedo” che trascina, apparentemente disinvolta, una valigia piena zeppa di cianfrusaglie: il grembiulino-divisa, il voto, il cinque in condotta, il maestro tuttologo… Presa dalla Sua naturale voglia di realizzare, forse non scorge le ragnatele e, a causa del chiasso assordante che caratterizza questo nostro mondo in corsa, non vede e non sente i bisogni reali della scuola.
Il fatto non mi meraviglia più di tanto, considerata la Sua giovane età e la conseguente inesperienza. Ciò che invece preoccupa è il fatto che voglia presentarci il tutto come un’esigenza , un qualcosa di utile, didatticamente efficace.
Se, con umiltà, avesse chiesto la collaborazione di quelle persone che all’interno della scuola hanno costruito per anni ( un nome per tutti : Mario Lodi) e di coloro che i bambini-ragazzi li conoscono bene (Marcello Argilli, Roberto Piumini, Vittorino Andreoli, Umberto Galimberti…) e sanno come “apparecchiare” la tavola del sapere, questa scuola che annaspa da tempo e che oggi rischia di annegare, avrebbe probabilmente trovato quei modi e quei mezzi e valorizzato quelle strategie capaci di rendere non solo gratificante ma perfino piacevole l’andare a scuola.
Ciò che è necessario ri-costruire e rafforzare all’interno della nostra scuola è, innanzi tutto, un clima : di accoglienza e partecipazione reale, dove non può e non deve trovar spazio lo spettro del cinque in condotta che, mi creda, non seve a nulla se non a intimorire, a rafforzare paure, ad allontanare, a marchiare.
“Gli idioti vanno puniti!”, ha esordito l’altro ieri, nella trasmissione televisiva “Tatami”, il ministro della… gioventù, Meloni. Devo essere stata particolarmente fortunata perché nella mia lunga esperienza scolastica, idioti non ne ho mai incontrato, se non fuori dalle aule scolastiche e fra quegli adulti che antepongono l’apparire all’essere. Lei crede realmente che lo spauracchio del cinque in condotta porrà un freno al bullismo? O non contribuirà – come io temo – a rendere più aggressivi e pericolosi i comportamenti di coloro che , con determinati atteggiamenti, manifestano disagi più o meno seri? Più spesso di quanto si creda i disagi dei nostri ragazzi sono una richiesta d’aiuto . Non esistono ragazzi difficili, ministro ;esistono ragazzi con delle difficoltà , e non è necessario avere antenne speciali o un udito finissimo per coglierne i segnali. E’ giusto rispondere col cinque in condotta e con la conseguente ripetenza che inevitabilmente diventerà abbandono? O non sarebbe stato opportuno, visti i tempi da “deserto emozionale”, imporre la presenza in ogni scuola di pedagogisti e psicologi dell’età evolutiva ? Sarebbero soldi buttati al vento o non, invece, come io credo, un ottimo investimento per la costruzione di una società migliore, dove abbiano ancora diritto di cittadinanza le emozioni, i sogni, i progetti, la voglia di futuro?
All’estero – si ripete fino alla noia – il numero degli insegnanti per classe è minore. E allora? Chi dice che sia un bene? Dobbiamo per forza allungare lo sguardo oltralpe e dimenticare che siamo “figli” di Michelangelo, Leonardo, Verdi, Dante, Montale… E’ in questa direzione che è necessario guardare, quando si fa riferimento alla cultura. Tutto ciò che si spende in cultura è sempre e comunque un buon investimento. Più esattamente, consente il risparmio: migliore sarà l’offerta formativa, minore sarà la dispersione scolastica che toglierà manovalanza alla criminalità  e “ospiti” ai Centri di recupero che, vista l’aria che tira, continueranno ad essere costruiti a spese delle Regioni o dello Stato. “Prevenire è meglio che curare”… Condivide Ministro?
Quanta confusione, poi! Il Ministro Tremonti, nella trasmissione “Ballarò”, ha parlato di tre insegnanti per classe. Ma quando mai? Nei moduli lavorano tre insegnanti su DUE classi e, più spesso di quanto si pensi, tre insegnanti su TRE classi… visto che, secondo il numero degli alunni, vengono accorpate – quando va bene! -, la terza, la quarta e la quinta.
Ancora : che cosa significa l’affermazione sentita da più parti che i genitori risparmieranno perché i libri saranno gli stessi per cinque anni?! Il risparmio consiste nell’acquistare i libri usati?
Il problema del grembiulino-divisa , poi, lo lasci agli insegnanti. Un’idea in tal senso sono capaci di partorirla anche loro, a dispetto dello scoramento. Che si fa se alcuni alunni non indossano il grembiule? Si mandano a casa o avranno il cinque in condotta?
Le cose da dire sarebbero tante, ma non voglio rubarle altro tempo. Vorrei però concludere con un consiglio. Posso? Si occupi e si preoccupi dell’edilizia scolastica. Il 75 per cento degli edifici scolastici non è a norma. Ho ancora nella mente e nel cuore il disastro, immane, degli insegnanti e dei piccoli di San Giuliano, morti come sappiamo.

Cordialmente
Rosalba Satta

da: www.rosalbasatta.it

3 pensieri su “Lettera aperta al Ministro Gelmini – di Rosalba Satta

  1. cara rosalba,
    saggia lettera. meriterebbe di essere letta. Sono una maestra anch’io, da 18 anni sono entrata nella scuola quando già esisteva il modulo e il tempo pieno. mi terrorizza adesso immaginare di dover insegn re da sola a 30 alunni, in aule incontenibili e tutte le materie.solo noi, addetti ai lavori sappiamo bene che cosa si prospetta e lo sanno bene anche i nostri mariti che ogni sera ci vedranno tornare a casa sempre più deluse, sfatte, con sempre meno energia e tanto affanno nel cuore, il peggiore, quello di non poter più dare, se pure con un misero stipendio una formazione adeguata ai futuri cittadini.

  2. Ciao Stefania. Concordo con quanto pensi e scrivi. I tempi sono scuri . Dopo aver fatto tanto e di più per cercare di trasformarci in “tubi digerenti” – semplici consumatori del superfluo -, ora si cerca anche di evitare che il pensiero si metta in moto. Non trovo altra spiegazione quando scorgo il “baratro” che la signora Gelmini , a colpi di decreti legge, sta costruendo per evitare che si percorra il sentiero della cultura. Quello che rende liberi e, perciò , più forti. Che dire? Anch’io nonostante mi sforzi di vivere la mia età pensionabile con la giusta serenità , provo un profondo scoramento. Perché penso al torto che si farà, innanzi tutto, ai bambini-ragazzi. E’ come rubare loro la speranza in un futuro che , già oggi, non riescono più a scorgere. Ma, nello stesso tempo, penso ( la speranza è incredibilmente testarda!) che VOI ce la farete . Che riuscirete , anche in nome dell’automia, ad impedire che il terremoto si verifichi e ci inghiotta tutti. Non mollate! “Un NO indignato – scriveva padre Ernesto Balducci- è straordinario , come un SI di una persina innamorata.”. Ti abbraccio.

  3. MINISTRO GELMINI, QUELL’ESPRESSIONE NON VA ………E NON SOLO

    Alla cortese attenzione dell’onorevole Mariastella Gelmini
    e p.c. Presidente CNUDD Prof. Paolo Valerio

    Oggetto: osservazioni sull’espressione “studenti diversamente abili” utilizzata nel decreto per i criteri ripartizione stanziamento per interventi studenti diversamente abili anno 2008
    Illustrissimo Sig. Ministro,
    sono un operatore che lavora da anni nel campo della disabilità e in particolare nei Servizi universitari di supporto agli studenti universitari con disabilità.
    Le scrivo sollecitato dalla lettura del Decreto Ministeriale 28 agosto 2008 prot. n. 159/2008, da Lei firmato, in cui campeggia l’espressione “studenti diversamente abili”, sulla quale vorrei proporLe alcune brevi considerazioni.
    Mi permetta di partire da una frase illuminante di Giuseppe Pontiggia apposta come dedica a un suo bel libro: «A tutte le persone disabili che lottano, non per diventare uguali agli altri, ma se stessi». Tale dedica ci interpella tutti, nessuno escluso.
    In nessun ambito della vita le parole sono chiacchiere, tantomeno nell’ambito del sistema formativo formale (quello di Sua competenza come Ministro): nella correzione dei temi contano perfino gli accenti e gli apostrofi, si immagini quindi il peso specifico delle parole! La mia non vuole essere una mera disputa lessicografica o semantica, nell’uso di certi termini sono in ballo questioni più profonde, che concernono il rispetto vero delle persone, delle loro storie di vita e della loro condizione esistenziale.
    L’espressione “studenti diversamente abili” è sempre più diffusa nel mondo dell’informazione e della politica, ma moltissimi fra i più competenti, preparati e appassionati operatori italiani nell’area delle disabilità hanno eccepito vigorosamente su di essa. Le riporto alcuni esempi: la teologa Adriana Zarri scrive che questa «ridicola e ipocrita definizione rappresenta il colmo dell’imbarbarimento e, in fondo, dimostra una mancata accettazione di uno stato di difficoltà»; Andrea Pancaldi parla di termine «carico di ambiguità»; il giornalista Franco Bomprezzi denuncia una «deriva linguistica che, nell’enfatizzare le capacità di alcuni, ignora le persone con maggiori difficoltà». Carlo Giacobini, poi, descrive il “neologismo” con acuta ironia come «un ansiolitico linguistico, utile al massimo a mettere in pace la coscienza di coloro che non si sono mai fatti carico sino in fondo di questi problemi».
    Personalmente ritengo che si tratti di un tentativo maldestro di “sdoganare” le disabilità, rimuovendo (o se si preferisce camuffando) le difficoltà reali che assillano giorno per giorno gli studenti universitari con disabilità. Invece di lottare per affermare nella prassi quotidiana il diritto all’uguaglianza di opportunità, si inseguono goffamente modelli efficientisti ed estetici. Qualcuno potrebbe obiettare che l’espressione mira a valorizzare le abilità residue (quando ci sono), il che è sicuramente doveroso ma ha come indispensabile presupposto il riconoscimento leale e oggettivo delle limitazioni delle attività, non la loro rimozione attraverso operazioni di ‘cosmesi comunicativa’.
    L’inserimento e l’inclusione sono possibili, da una parte, mediante provvedimenti amministrativi che favoriscano i progetti di vita indipendente di ciascuno (e quindi mettendo in campo investimenti); dall’altra, attraverso processi culturali di accettazione lunghi e complessi, che non solo non passano attraverso la proposta di nuove e ambigue definizioni ma possono addirittura essere da esse ostacolati.
    Gli studenti universitari con disabilità hanno bisogno di servizi, e non di questi biglietti da visita ingenui, e anche fuorvianti.
    Infine, vale la pena ricordare che il termine diversamente abile non ha nessun rigore scientifico, né alcuna valenza sul piano legislativo ed è intraducibile in altre lingue. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, che il 22/5/2001 ha approvato la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, suggerisce di usare il termine “persone disabili” o “persone con disabilità”.Mi auguro, Sig. Ministro, che non voglia liquidare questa mia lettera come un semplice esercizio di pedanteria e puntigliosità semantica, ma intenderla come un piccolo contributo sulla strada da percorrere per la piena promozione dei diritti di cittadinanza delle persone con disabilità e per la creazione delle condizioni perché possano essere se stesse e non quello che noi vogliamo che siano.
    E allora, mi creda Sig. Ministro, tutti noi saremo più autenticamente noi stessi.

    Napoli 01/02/2009
    Carmine Rizzo

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